16 luglio

16 Luglio 2016

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luglio

I giorni e la Storia

 

16 luglio 1647

Il popolo napoletano è fatto per tenere alta la testa.

rivoluzione

Ci sono personaggi che attraversano la nostra vita tracciandovi una strada. Non hai voglia di lasciarli andare, perché senti che ti porteranno lontano. A me, con Bernardina Pisa, è accaduto così. Incontrata per caso tre anni fa, in un rigo di un libro, ho poi continuato a cercarla, trovando rari ritratti, mai lunghi più di una manciata di paragrafi, insieme a poesie e qualche testimonianza. Questo monologo è nato da un insieme di curiosità e suggestioni, dallo studio di un’epoca complessa come il Seicento e dal dialogo quotidiano e sempre necessario con il passato. Bernardina, giovane, volitiva, sfacciatamente bella, piena di passione e di amore per Masaniello, protagonista insieme al marito e ai napoletani di una indimenticabile rivoluzione. Invaghito della libertà, intollerante ad ogni forma di potere, lui era di tutti, lei era solo sua. Una sensazione questa che non l’ha mai lasciata, una sensazione intensa e terribile al tempo stesso.

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12 luglio

12 Luglio 2016

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luglio

I giorni e la Storia

 

12 luglio 1904, Santiago del Cile nasce Pablo Neruda. Sua la meraviglia della parola, l’impegno politico, la scrittura giornalistica, la passione per la poesia e per la passione. Sua la certezza che “ridere è il linguaggio dell’anima”, Sue le poesie, le odi le chiamava lui, al vino, alla gatta, al carciofo, alla mela e a molto altro ancora. Alla vita, che amava sempre, nell’amore e nella disperazione.
Nostra la certezza che con i versi di Neruda il mondo ci sembra un posto migliore.

Marilena Lucente

taciMi piaci quando taci perché sei come assente,
e mi ascolti da lungi e la mia voce non ti tocca.
Sembra che gli occhi ti sian volati via
e che un bacio ti abbia chiuso la bocca.

Poiché tutte le cose son piene della mia anima
emergi dalle cose, piene dell’anima mia.
Farfalla di sogno, rassomigli alla mia anima,
e rassomigli alla parola malinconia.

Mi piaci quando taci e sei come distante.
E stai come lamentandoti, farfalla turbante.
E mi ascolti da lungi, e la mia voce non ti raggiunge:
lascia che io taccia col tuo silenzio.

Lascia che ti parli pure col tuo silenzio
chiaro come una lampada, semplice come un anello.
Sei come la notte, silenziosa e costellata.
Il tuo silenzio è di stella, così lontano e semplice.

Mi piaci quando taci perché sei come assente.
Distante e dolorosa come se fossi morta.
Allora una parola, un sorriso bastano.
E son felice, felice che non sia così.

P. Neruda, Mi piaci quando taci

 

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7 luglio

7 Luglio 2016

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luglio

I giorni e la Storia

 

7 Luglio 1647 Masaniello è il Re di Napoli

masanielloMasaniello è un nome che a Napoli viaggia ancora nell’aria, uno spirito che aleggia nella città, in particolare nella zona di Piazza Mercato, luogo dove la persona con una buona predisposizione dell’animo può allungare le mani e afferrare l’umile pescatore, Re senza corona che ha governato per pochi giorni e facendo tremare i potenti, fin quando la pazzia e le basse mire non hanno, brutalmente e fatalmente, ucciso il corpo, e solamente il corpo, del rivoltoso. Quella buona predisposizione d’animo in altro non consiste se non nel desiderio fermo, puro e forse un po’ ingenuo, di libertà, una libertà bella e semplice che vuol dire amare e rispettare la propria Terra, la propria gente.

Tommaso Aniello d’Amalfi, luogo di origine del padre di Masaniello, nacque in Vico Rotto a Napoli il 29 Giugno 1620, da Cicco e Antonia Gargano. Nella metà del Seicento la popolazione partenopea all’interno delle mura ammonta a circa mezzo milione, del quale solo una piccola parte ha un’occupazione stabile: il resto vive alla giornata, mentre le classi più alte e agiate vivono di usura, speculando sulle gabelle (imposte indirette sulle merci), vendita di voti e rendita, mentre tra i nobili i soli che esercitano con onore la propria funzione erano quelli dei più antichi Sedili cittadini. Le gabelle gravano in particolar modo sui beni di prima necessità, come il grano, il pane, frutta, verdura, carne, pesce, in modo da costringere il popolo alla fame. Il pretesto per la rivolta popolare nasce da lontano, il giorno di Santo Stefano del 1646, quando il viceré don Rodrigo de Leon, Duca d’Arcos, viene contestato mentre si reca alla Santa Messa dopo la notizia di nuove gabelle sulla frutta. Il 3 Gennaio 1647 vengono pubblicate le tariffe, tuttavia è solo il 20 Maggio dello stesso anno che qualcosa si muove: in città spuntano manifesti che parlano di tumulti sorti a Palermo ed esortanti a fare lo stesso a Napoli; diciassette giorni dopo, il 6 Giugno, viene incendiata di notte la bottega nella quale avviene la riscossione della gabella sulla frutta, gesto che, come si seppe in seguito, fu compiuto da Masaniello. Come mai, però, costui si decise ad agire?

Masaniello è un lazzaro, un giovane plebeo ca votta a campà, ossia tira a campare come può, che col tempo però si è “specializzato” nell’attività di pescivendolo. Molto furbo e con grande carisma, fedele alla sua gente, alla religione e al Re, come ogni lazzaro aveva avuto a che fare praticamente con tutti, dai poveracci ai signori, dai mariuoli agli intellettuali e agli artisti, specialmente quando era finito in galera per essersi opposto ai sequestri di pesce. In prigione ebbe modo di conoscere dei prigionieri politici, che lo portarono ad incontrare don Giulio Genoino, eletto del popolo destituito perché fastidioso e fervente nel difendere la plebe contro la nobiltà, fattosi prete a più di 70 anni perché stanco di entrare e uscire dalle carceri e il quale, con la sua cultura, affascinò Masaniello e lo rese cosciente della corruzione che soffocava la popolazione, pur senza mai arrivare a manovrarlo: se ci fosse riuscito, d’altra parte, il ragazzo non avrebbe fatto una triste fine.

Spaventato dall’incendio, il viceré tenta di calmare la situazione scarcerando due guappi affinché l’eletto Naclerio potesse contrattarvi, Peppe Palumbo e l’abate Perrone, amici di Naclerio stesso oltre che di don Genoino. Nel frattempo Masaniello addestra qualche centinaio di alarbi, i lazzari che dovevano sfilare alla festa per la Madonna del Carmine curata da fra’ Savino, cuciniere del Carmine e amico di Genoino, in modo da indurli sì a protestare contro il mal governo, ma allo stesso tempo sottolineando la fedeltà al Re Filippo IV, detto El Rey Planeta perché con lui la Spagna portò alla massima espansione il suo impero dove non tramontava mai il Sole.

La tappa successiva fu il 30 Giugno, quando Masaniello e più di duecento alarbi con un tamburo e vestiti di stracci, urlano “Mora lo mal governo, viva ‘o Rre”, oltre a vari altri gridi contro le gabelle e le soverchierie. Giunti sotto Palazzo Reale ai pezzenti non viene vietato di protestare, probabilmente per ordine dello stesso viceré che voleva evitare pericolose tensioni. Un chiaro segno di debolezza che incoraggia Masaniello, suo cognato Mase Carrese (padrone abbastanza benestante di una bottega di frutta, verdura e carbone) e Ciommo Donnarumma (ortolano, anch’egli abbastanza benestante) a organizzare una protesta ben più dura giusto una settimana dopo, domenica 7 Luglio, la vera e propria rivoluzione.

Quella mattina gli alarbi sono circa trecento ed armati di canne, stanno dietro Sant’Eligio. Ad essi si aggiungono contadini, pescatori e commercianti che davanti alla bottega per la riscossione della gabella manifestano l’intenzione di non pagare. Coloro che ricorrono a Naclerio, che fa il doppio gioco insieme ai due camorristi (categoria fatta di venduti geneticamente traditori del popolo, dunque), si sentono dire che è meglio che paghino; una delegazione di negozianti riesce a farsi ricevere da Don Rodrigo d’Arcos, il quale li manda da un commissario, ma alla fine nulla cambia e perciò Carrese, dopo aver preso uno schiaffone sul volto al Mercato, rovescia a terra la sua merce e se la mette a vendere 4 soldi al rotolo senza alcuna tassa. D’ora in poi non si potrà più tornare indietro.

A quel segnale, Masaniello e alcuni dei suoi lasciano Sant’Eligio e si catapultano nel mezzo del mercato, gli scugnizzi portano l’Inferno a Napoli e non vogliono conoscere alcuna ragione, buttando dei fichi in faccia a un Naclerio che come al suo solito voleva dimostrare alla polizia di essere il padrone della folla. Gli alarbi scappano e seminano i poliziotti, arrivano altri lazzari che di fichi non sanno cosa farsene, se non mangiarli, allora tirano grossi sassi colpendo in petto Naclerio, salvato e condotto svenuto al Palazzo Reale da Perrone. A questo punto la folla si fa davvero consistente e Masaniello la arringa dalla fontana con i delfini, lo stesso punto, più o meno, dove trovò la morte per decapitazione Corradino di Svevia: non si sa di preciso cosa abbia detto, secondo alcuni semplicemente di ribellarsi e incendiare le botteghe dei dazi, secondo altri un discorso da capo con la promessa che, grazie alla Madonna del Carmine e il patrono San Gennaro, la sofferenza sarebbe ora finita.

Masaniello, a capo di quasi mille persone, distrusse i locali del dazio e si diresse a Palazzo Reale per prendere Naclerio, rifugiato nelle stanze della moglie di don Rodrigo. Quello scappa, ma la rivolta si sta propagando in tutta la città e i soldati vengono man mano disarmati. Il viceré prepara la fuga e si rifugia al convento di San Luigi, da dove, sotto suggerimento del conte genovese Sauli, scrive dei bigliettini dove annuncia la soppressione della gabella e li lancia alla gente. Non è sufficiente per don Giulio Genoino, che vuole la reintroduzione di un discusso privilegio concesso al Regno di Napoli dall’imperatore Carlo V, con cui si stabiliva uguale rappresentanza per patrizi e plebei, oltre a una giusta redistribuzione dell’onere delle gabelle. Contemporaneamente in città venivano aperte le carceri e compiuti saccheggi, con i camorristi Perrone e Palumbo stavolta a capo di alcuni insorti – chissà se il viceré lo sapeva. Alla sera Masaniello fa suonare le campane del Carmine per adunare la gente, dando appuntamento per il giorno successivo: bisognava far abbassare anche la tassa sulla farina; don Rodrigo d’Arcos si è rifugiato al Maschio Angioino e ci resterà tre giorni.

Masaniello ora è consapevole di quanto potere abbia nelle proprie mani; Genoino lo lascia fare, i due guappi pure. Il caporivolta dà i primi ordini, primo tra tutti abbassare il prezzo del pane, girando per gli esercizi, controllando di persone e minacciando di tagliare la testa agli imbroglioni. Inevitabilmente si concede qualche vendetta: per esempio, dà al fratello un elenco di case da bruciare, tutte appartenenti a uomini corrotti, con l’ordine puntualmente rispettato di non rubare neanche la cosa più insignificante: tutto alle fiamme. I consensi attorno a Masaniello crescono, a un certo punto medita una rottura con la Spagna, dato che può facilmente conquistare i castelli, ma Giulio Genoino lo fa desistere perché non vuole rinunciare alla protezione del Re, bensì solo le riforme: è la scelta, forse, che condanna Masaniello a morte.

Don Rodrigo era convinto, in fondo, che si trattasse solo di un po’ di caos, il capriccio di un pescivendolo che presto sarebbe stato abbandonato, o si sarebbe scocciato. Un pescivendolo facilmente ammansibile, magari con un vitalizio consistente, da signore, ma il tentativo di corruzione non sortisce effetto. Altri individui bisogna dunque comprare, e allora gli avvocati Mastellone e De Palma fanno spuntare un documento che somiglia al privilegio di cui parla Genoino, che provvede personalmente a integrare e renderlo uguale all’originale, che secondo lui, evidentemente, si trova in Spagna. Genoino crede di non aver più bisogno di Masaniello, del quale il viceré può fare ciò che vuole: la notte tra mercoledì e giovedì, la vita di Masaniello è attentata due volte, prima con un coltello e poi con cinque colpi di archibugio, ma la colonna di nemici viene afferrata dal popolo devoto e giustiziata per essersi ribella al Re e al popolo: decapitati, teste infilzate sui pali in mostra al mercato e circa 30 corpi trascinati in città.

Il privilegio viene letto finalmente nella Chiesa del Carmine e approvato dal popolo, ora Masaniello può andare dal viceré, insieme a Genoino e al mediatore cardinale Filomarino, affinché fosse firmato; per l’occasione don Rodrigo gli ha fatto consegnare un veste d’argento. Durante il tragitto Masaniello ripete più volte alla gente di incendiare tutta Napoli se non dovesse tornare dal palazzo, però tutto va liscio e dal balcone saluta la folla, oltre a baciare i piedi al viceré tra le acclamazioni della plebe, ricevendo in cambio il titolo di capitano del popolo e una collana d’oro, accettata solo una volta ricevuta l’autorizzazione dei popolani. Sono i primi segnali del suo crollo nervoso.

I giorni seguenti prosegue a governare con i soliti buoni propositi, distribuisce le vivande, fa saccheggiare i tesori dei disonesti e le case dei nobili scappati per le opere utili al popolo, ristabilisce l’ordine pubblico. Con don Giulio e il nuovo eletto Francesco Arpaja però è sprezzante e irrispettoso, il suo comportamento si fa stravagante, anche nel Duomo in occasione del giuramento sul privilegio. Masaniello ha vinto la sua lotta, anche i suoi manovratori, i quali ora meditano la sua morte.

Prima di tutto bisogna fargli mancare un favore così incondizionato della gente, dunque viene sparsa la falsa voce della pederastia di Masaniello, oltre a insinuare che non sia giusto che un semplice pescivendolo comandi sui suoi pari. La domenica annuncia di non voler più comandare e fa smantellare le milizie popolari, la gente festeggia e lui se ne va a Posillipo con il viceré che lo ha invitato, per distrarlo mentre si forma in segreto il nuovo assetto: d’ora in poi gli ordini di Masaniello sono considerati senza valore. Lunedì si sveglia dopo una notte febbricitante e comincia dare ordini, a pretendere esecuzioni, il suo fisico è debolissimo e la gente non lo segue più, essendogli anzi ostile per la sua pazzia. Di sera viene legato e sorvegliato in casa sua, il 16, giorno di celebrazione della Madonna del Carmine, viene destituito e se ne ordina l’incarcerazione fino alla guarigione. Masaniello, però, riesce a fuggire e si reca nella Chiesa, dove tiene sul pulpito l’ultimo amaro discorso in preda alla follia, in cui ricorda i risultati della lotta, ammonisce i concittadini che lo hanno tradito e annuncia la sua morte imminente, poi scese e si denudò in mezzo alla navata. Portato in cella, fu ucciso con alcuni colpi di archibugio da alcuni capitani corrotti e decapitato, il copro ai rifiuti e la testa al viceré come prova. I corrotti sono premiati con cariche di potere e somme di denaro.

Il 17 Giugno il popolo si accorge che il pane costa di nuovo come prima e le gabelle reintrodotte, così va a recuperare il corpo disfatto di Tommaso Aniello e lo porta in processione, dopo averlo lavato e ricucito, il 18 Luglio al funerale celebrato dal cardinale Filomarino, forse l’unica persona che ha davvero apprezzato Masaniello, pur allontanandosene dopo le prime stravaganze. Con il feretro davanti al Palazzo Reale, don Rodrigo in segno di lutto fa abbassare le bandiere.

Di lui il cardinale Filomarino scrisse, in una lettera al papa:

Questo Masaniello è pervenuto a segno tale di autorità, di comando, di rispetto e di ubbidienza, in questi pochi giorni, che ha fatto tremare tutta la città con li suoi ordini, li quali sono stati eseguiti da’ suoi seguaci con ogni puntualità e rigore: ha dimostrato prudenza, giudizio e moderazione; insomma era divenuto un re in questa città, e il più glorioso e trionfante che abbia avuto il mondo. Chi non l’ha veduto, non può figurarselo nell’idea; e chi l’ha veduto non può essere sufficiente a rappresentarlo perfettamente ad altri. Non vestiva altro abito che una camicia e calzoni di tela bianca ad uso di pescatore, scalzo e senza alcuna cosa in testa; né ha voluto mutar vestito, se non nella gita dal Viceré.

da VesuvioLive

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6 luglio

6 Luglio 2016

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luglio

I giorni e la Storia

6 luglio 1907 nasce Frida Kahlo, all’anagrafe Magdalena Carmen Frieda Kahlo y Calderón (Coyoacán, 6 luglio 1907 – Coyoacán, 13 luglio 1954), è stata una pittrice messicana

Prendete un amante che vi guardi per la magia che potete essere.
Frida Kahlo

fridaNota di Marilena Lucente:
Buon compleanno, Frida. Correva l’anno 1907. Arguta, visionaria, terribile, immobile, in fuga. Innamorata della vita, sfidando tutti, compreso se stessa, compreso il suo dolore, con quei pennelli, con quei colori. Perché se non hai uno sguardo diverso, se non credi di meritare uno sguardo diverso, che va più in fondo, fino all’indicibile, allora no, non serve, non mi guardare.
Come direbbe lei: “altrimenti no”.
Guardare senza fantasia, immaginazione, slancio è come guardare senza cielo.

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29 giugno

30 Giugno 2016

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giugno

 
I giorni e la Storia

 

29 giugno del 1900

Oggi, 116 anni fa, nasceva Antoine De Saint Exupéry che con il suo “Piccolo Principe” ci ha insegnato a riscoprire la creatività tipica dell’infanzia, apprezzare i piccoli piaceri della vita, avere il coraggio di scoprire, prendersi del tempo per sé come chiave per la felicità.

Ma soprattutto ci ha insegnato che le migliori scelte sono quelle fatte con il cuore.

‪#‎scuole‬ e ‪#‎librerie‬ fate anche voi una scelta di cuore: gemellatevi su ‪#‎ioleggoperché‬

Marilena Lucente

piccolo

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2 giugno

2 Giugno 2016

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giugno

 

I giorni e la Storia

 
 

2 giugno 1989, la prima uscita internazionale dell’indimenticabile film “L’attimo fuggente”

Dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse, e il mondo è diverso da quassù. È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva, anche se può sembrare sciocco ci dovete provare. Osate cambiare, cercate nuove strade

 

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24 maggio

24 Maggio 2016

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maggio
I giorni e la Storia –

 

Cosa può fare una semplice rosa
Contro la guerra infinita?
Nient’altro che essere vita
Contro la vita tradita.

Cosa può fare una semplice vita
Contro la morte infinita?
Nient’altro che offrire una rosa
Di pace, a un amico o a un’amica.

Se il loro infinito e la guerra
Che appresta da sempre la terra,
A nostra giustizia sia
Rosa d’amore e d’utopia.

G. D’Elia, Ultime della rosa

grande-guerraNota di Marilena Lucente:
24 maggio 2015. Dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria. Incomincia la guerra del ’15 – ’18. Occorrono tante Rose di pace, per scacciare la retorica.

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23 maggio

23 Maggio 2016

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maggio
I giorni e la Storia –

 

23 maggio 1992
“crepare di maggio ci vuole tanto troppo coraggio” – Fabrizio De Andrè

falconeLa mattina in cui morì il giudice Falcone avevo consegnato la tesi di laurea in segreteria.
la sera ero a piazza di spagna con le amiche della vita. lì sentimmo la notizia, proprio a quest’ora. 23 maggio 1992. Un vento di paura in mezzo ai fiori di trinità dei monti.poi la serata riprese con la consueta bellezza di roma.
Il giorno dopo tornai a casa. attraversai la daunia con il giallo che impazziva di sole e i giornali pesanti di piombo.
Non lo sapevamo ancora che avremmo incominciato, ciascuno a suo modo, a fare la guerra per la giustizia. qualche volta con la giustizia.

Marilena Lucente

e mentre il grano ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi un fucile
dentro alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole
(l’amico fragile – Fabrizio De Andrè)

giovanni

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12 maggio

12 Maggio 2016

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maggio
I giorni e la Storia –

 
12 maggio 1700, nasce Luigi Vanvitelli: il genio napoletano che costruì la Reggia di Caserta.

Luigi_Vanvitelli-transparentFiglio del celebre vedutista Gaspar van Wittel, trasferitosi in Italia dai Paesi Bassi nel 1694, nacque a Napoli, dove il padre era stato chiamato l’anno prima dal vicerè duca di Medinaceli, che gli fece da padrino. Luigi iniziò la propria attività come pittore, per poi dedicarsi all’architettura e divenire uno dei più importanti architetti italiani del periodo fra il Barocco e il Neoclassicismo.

Nel 1750 il re di Napoli Carlo di Borbone richiese al Vanvitelli il progetto di una nuova reggia che aveva pensato per la città di Caserta, facilmente raggiungibile dalla capitale, ma discosta da essa, come lo era Versailles da Parigi. La reggia, che avrebbe dovuto sorgere nei pressi di una nuova città (che fu poi realizzata in tempi successivi, in modo caotico e senza tener conto delle idee di Vanvitelli), fu rifornita d’acqua dal monumentale Acquedotto Carolino, progettato da Vanvitelli sul modello delle opere idrauliche dell’antica Roma.

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9 maggio

9 Maggio 2016

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maggio
I giorni e la Storia –

 

9 maggio 1978 : Aldo Moro e Peppino Impastato vennero uccisi.

9maggio

Aldo Moro fu sequestrato il 16 marzo 1978 a Roma dalle Brigate Rosse; il suo corpo senza vita fu ritrovato il 9 maggio successivo in via Caetani, nel centro della Capitale, al termine di 55 giorni di prigionia.

Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978

nota di Marilena Lucente:
Un uomo e un ragazzo, uccisi nello stesso giorno. Le loro storie ci hanno tagliato la Storia, i pensieri, il cuore. Per quelli che in quel giorno erano bambini, ragazzi, donne e uomini. E pure cittadini, tutti quanti cittadini. Cento passi tra noi e l’Italia che pensavamo giusto poter avere. Dover avere.
Invece sono stati cento e cento e ancora cento passi nelle strade delle menzogne e delle mistificazioni, cento dubbi sparigliati con qualche certezza, cento inciampi. E troppo sangue per poter dire di vivere in democrazia.
Abbiamo continuato ad andare, continuiamo. Con qualche certezza in meno e qualche consapevolezza in più. C’ è un tempo che passa e un tempo che è fermo. 9 maggio 1978 : Aldo Moro e Peppino Impastato vennero uccisi. Questo giorno qui non passa mai.

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